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E' La crisi in giallo (Sellerio) il nuovo titolo del gruppo di lettura

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E' la raccolta di racconti gialli La crisi in giallo di Sellerio il titolo scelto dal gruppo per la versione estiva del gruppo di lettura al alta voce.

Nicola Fantini, Laura Pariani, Marco Malvaldi, Dominique Manotti, Antonio Manzini, Francesco Recami, Gaetano Savatteri

La crisi in giallo

Denuncia sociale, spietato realismo e consapevole empatia è ciò che accomuna i sei racconti gialli di questa antologia. Scritti da autori i cui eroi hanno altrove dato prova della loro capacità di immergersi nel tessuto della società nei suoi risvolti più nascosti ed estremi.

 

Il «giallo» si adatta magnificamente alla crisi economica. E non solo perché i migliori polizieschi sono sempre in fondo indagini sulla disperazione sociale. Ma anche perché la crisi economica dà rilievo a quella malinconia morale che pervade ogni storia nera: che i veri criminali, a ben guardare, sono ben altri del comune delinquente. Inoltre, lo sfondo di deserti industriali, di miseri in lotta per la pagnotta, di ex ricchi piombati nella vergogna del bisogno, di gesti clamorosi di chi non ha niente da perdere, di profittatori del bisogno estremo, di speculatori che giocano al ribasso dei beni sociali, di fughe di capitali, di truffe per furbizia o per fame, aggiunge alla finzione noir una forte dose di verità e di solidarietà umana.
Tutto questo mescolarsi di denuncia sociale, di spietato realismo e di consapevole empatia è ciò che accomuna i sei racconti gialli che qui presentiamo. Scritti da autori i cui eroi hanno altrove dato prova della loro capacità di immergersi nel tessuto della società nei suoi risvolti più nascosti ed estremi.

 

letti per noi: DALLA REALTÀ ALLA LETTERATURA: IL PIANO T4 E URSULA HEGI

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Dalla realtà alla letteratura: il Piano T4 e Ursula Hegi

 

Il famigerato piano "Aktion T4" prende il suo nome dall'abbreviazione di Tiengartenstrasse 4, l'indirizzo della villa dove aveva sede il quartier generale dell'operazione. Aktion T4 era l' insieme di azioni attraverso il quale il governo nazionalsocialista di Adolf Hitler si proponeva l'eliminazione di coloro che conducevano una "vita indegna di essere vissuta", secondo l'ideologia nazista.
Esso ebbe in realtà la sua prima giustificazione teorica nel 1895, dal medico tedesco Alfred Jost, il quale sosteneva un concetto di eutanasia molto lontano da quello a cui siamo abituati a pensare oggi.
Mentre la nostra epoca, infatti, dibatte sul diritto alla morte senza dolore come componente essenziale della dignità dell'individuo, la teoria di Jost si basava sul principio secondo cui era lo Stato, e non il singolo cittadino, il titolare del diritto alla vita e alla morte.
Era dunque lo Stato a decidere chi dovesse vivere, escludendo, per selezione naturale, i più deboli, affetti da deformità fisiche o menomazioni mentali.
Nel 1926, Adolf Hitler riprese tali concetti nel testo posto a fondamento della propria ideologia eugenetica, il Mein Kampf. Le deformità disturbavano il "senso artistico" del futuro Fuhrer, secondo il quale il corpo umano doveva essere costituito da un insieme armonico di parti.
Con il suo avvento al potere, nel 1933, Hitler orchestrò un'abile campagna propagandistica volta a sottolineare, nella Germania colpita dalla Grande Depressione, il costo di quelle che egli definiva " bocche inutili."
La propaganda si serviva di ogni mezzo possibile, a partire dalla scuola, dove il concetto veniva ribadito in tutte le discipline di studio: Roberto Benigni, nel film La vita è bella ricorda la dominanza della teoria della razza ariana non solo in Germania ma anche nei paesi alleati dei nazisti, come l'Italia, fin dagli studi primari. E' memorabile la scena in cui il protagonista ebreo del film, Guido, interpretato da lui stesso, illustra, nudo, la teoria in questione davanti ad un'attonita scolaresca.
La martellante campagna di stampa ebbe infine il suo effetto, disponendo la maggioranza della popolazione tedesca al consenso, anche entusiastico. La classe medica fu una delle prime ad accogliere con grande favore l'operazione, che permetteva di concentrare gli sforzi della sanità nazionale su chi "poteva essere salvato"e poteva ancora essere utile alla produzione, abbandonando al proprio destino le "inutili zavorre".
Nell' elaborazione del piano T4 o Progetto Eutanasia, Hitler volle dapprima che venissero denunciati alle autorità i bambini disabili dalla nascita ai tre anni, in seguito gli adolescenti . I minori disabili dovevano essere sottratti alla famiglia dalle autorità; ai genitori che si fossero opposti sarebbe stata tolta la tutela anche dei figli non disabili. I disabili adulti furono gli ultimi ad essere inclusi nel progetto, deportati con la forza dai luoghi in cui vivevano.
Tutti i pazienti venivano uccisi mediante iniezione letale, dopo essere stati trasferiti in appositi centri ospedalieri. Il trasferimento veniva compiuto da SS travestite da medici, per rassicurare le famiglie. Dopo la morte dei pazienti, ai familiari veniva restituito il cadavere, o più spesso le ceneri, corredate di regolare certificato medico che attestava la morte per arresto cardiaco.
Con l'invasione tedesca dell'Europa, il progetto venne esteso ai territori occupati, anche se nel 1941 fu ufficialmente sospeso; ciò avvenne sia per le proteste del clero tedesco che per i dubbi nati nella gerarchia militare nazista circa la sorte che doveva essere riservata ai soldati divenuti disabili gravi per ferite di guerra: era giusto considerare bocche inutili degli eroi?
Ufficiosamente però Aktion T4 continuò fino al termine del conflitto, con modalità meno "medicalizzate" che in passato e più simili a quelle utilizzate per i prigionieri dei lager. Si salvavano solo i pochi disabili la cui capacità lavorativa venisse giudicata sufficiente da un'apposita commissione medica, soprattutto verso la fine della guerra, quando tutte le forze erano utili.

Gli anni in cui fu attivo Aktion T4 sono magistralmente raccontati in uno dei più bei romanzi sul tema dell'handicap che sia mai stato scritto: Come pietre nel fiume dell'autrice tedesca Ursula Hegi (Milano, Feltrinelli, 2000)
Trudi Montag, la protagonista, è affetta da nanismo, condizione che si evidenzia fin dalla nascita. A causa del suo problema, (ma anche perché teme che sia frutto di un adulterio) la madre la rifiuta, mentre il padre l'accetta con serenità.
Fin da bambina Trudi scopre "la forza di essere diversa, l'agonia di essere diversa e il peccato di sbraitare contro un Dio inutile". Gli occhi di chi la circonda giudicano Trudi anomala, fuori dalla norma e la destinano ad essere emarginata : i suoi compaesani desiderano che lei venga rinchiusa in qualche luogo sicuro, dove nessuno possa vederla. Trudi però può contare su due protezioni potenti: l'amore incondizionato del padre e la conoscenza dei segreti più nascosti della comunità.
Tali protezioni, quasi mantelli magici, non solo le eviteranno di essere segregata, consentendole di condurre una vita normale, ma le permetteranno di salvare persone destinate allo sterminio come e più di lei.
A rischio della vita ospiterà infatti ebrei e dissidenti, sostenuta anche in questo dal padre. La deformità che gli abitanti della cittadina di Burgdorf vedono in lei riflette in realtà quella dei loro spiriti, pronti a piegarsi alla disciplina del "cittadino obbediente" che, a differenza del padre di Trudi, sacrifica i figli disabili in nome della purezza della razza e della patria e, in fondo, del risparmio economico. Alla fine della guerra Trudi dovrà assistere con disgusto al tentativo dei suoi concittadini di farsi passare per "combattenti per la libertà in incognito", ed alla non meno ripugnante richiesta da parte loro, a lei che non ha avuto paura, di funzionare da alibi per le loro vigliaccherie. Persino alcuni suoi coetanei che, quando lei aveva tredici anni, l'avevano aggredita e stuprata proprio in nome della purezza razziale, ora le chiedono di testimoniare in loro favore al processo a cui sono sottoposti dagli Alleati per crimini di guerra.
Trudi si rifiuta fermamente di dichiarare che i tre giovani soldati non sono "inclini al male "e scandalizza così per l'ennesima volta la comunità di Burgdorf, difendendo la propria integrità fisica e morale e dimostrando che la sua dignità e la sua sofferenza non sono "più piccoli" di quelli dei normodotati. Trudi è modello per tutti i discriminati di ogni tempo e ci ricorda come misurare gli individui in base alle loro dimensioni o a qualsiasi principio arbitrario, incluso quello della produttività economica, sia un crimine contro l'umanità.

Sara Valoti[*], giugno 2015

[*] Sara Valoti è nata ad Alzano Lombardo nel 1977. Laureata in Lettere Moderne alla Statale di Milano nel 2002, attualmente lavoro come impiegata presso Polynt SPA a Scanzorosciate. Ha pubblicato un paio di romanzi e, di recente, alcuni racconti sono stati pubblicati sul blog Scrivere la Vita di Rosalia Pucci.

Presentazione di "I NOSTRI GRANAI". 15 giugno a Milano

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15 giugno  2015 – ore 17.30
Archivio di Stato di Milano - Via Senato 10

Gli Archivi Sindacali. Tributo a Sandra Barresi

a partire dal volume

I Nostri Granai. Gli archivi storici, le biblioteche e i centri di documentazione della CGIL,

a cura di Elisa Castellano, Ediesse 2015

ne discutiamo con Franco Stasi (Cgil Lombardia), Maurizio Savoja (Sovrintendente Archivistico Lombardia)

Aldo Carera (Bibliolavoro), Mattia Granata (Unimi) Letizia Cortini (Amood).

Sara presente la curatrice.

A cura del coordinamento nazionale Archivi Cgil
 In collaborazione con Archeion

scarica la locandina

 

"Ci sembrava di essere liberi". Presentazione il 29 maggio

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L'intervista a Roberto Villa a RadioArticolo 1, la radio web della Cgil:

http://www.radioarticolo1.it/audio/2015/05/26/24401/lavori-in-corto-bergamo-gli-anni-70-sulle-frequenze-radiofoniche

Nella seconda metà degli anni Settanta, le radio democratiche interpretano in modo nuovo la generica domanda di comunicazione che viene dalla società italiana. Fortemente connotate dal punto di vista politico e strettamente legate al movimento contestativo che attraversa il decennio, queste radio si rivolgono prevalentemente al pubblico giovane, portando alla ribalta soggettività e temi precedentemente privi di visibilità.

Incrociando fonti orali e inediti documenti di archivio, il volume Ci sembrava di essere liberi. Per una storia delle radio democratiche bergamasche racconta e analizza una delle numerose declinazioni locali assunte dal fenomeno delle radio democratiche: concentrandosi su un contesto periferico come quello bergamasco e mettendone in rilievo le specificità, il volume tenta infatti di proporre una ridefinizione dell'intero complesso dell'emittenza democratica in Italia, smussandone gli elementi agiografici e rilevandone rimozioni, contraddizioni e fallimenti.

La storia delle otto radio di Bergamo e della sua provincia viene interpretata come l'epifenomeno di un decennio concepito come un lungo processo di incubazione di fermenti culturali che, svuotati della forza contestataria, si sono organicamente delineati negli anni successivi, influenzando profondamente gli sviluppi della storia sociale dell'Italia repubblicana. L'ipotesi interpretativa da cui muove questo lavoro è infatti quella di una sconfitta strisciante che la sinistra rivoluzionaria prova a rinviare, protraendo oltre la loro naturale scadenza parole d'ordine e forme di socializzazione destinate a fallire. In questa direzione le radio democratiche non assumono una funzione rivoluzionaria come nei propositi di alcuni tra i fondatori o come spesso rimarcato dalla scarsa letteratura sul tema, ma disimpegnano se mai il ruolo di megafono per istanze e soggettività nuove che intersecano o addirittura sostituiscono i temi del politico con quelli del personale, ponendo le basi per la svolta epicurea degli anni '80, quando il ripiegamento individuale neutralizza e annulla l'esperienza comunitaria del movimento contestatario degli anni '70.

Ciascuna delle radio prese in esame viene studiata nel suo contesto storico e geografico di appartenenza, nei suoi presupposti economici e infrastrutturali, nel ruolo attribuito alle donne all'interno delle redazioni, nella gestione dei palinsesti e della musica trasmessa, nonché nei motivi che ne hanno determinato la scomparsa e dunque – più in generale – che hanno sancito l'epilogo dell'emittenza democratica a Bergamo.

La realizzazione di quest'indagine si sostanzia nell'uso delle fonti orali. Le testimonianze raccolte per l'elaborazione e la redazione di questo lavoro sono 25 e sono state raccolte tra l'aprile 2012 e il febbraio 2013. Poiché alcune di queste testimonianze hanno avuto come protagonisti due o più testimoni, gli informatori dei cui racconti ci si è potuti avvalere sono 31. Il campione è stato costruito attraverso reti di relazioni sociali e le testimonianze sono state raccolte tramite il metodo dell'intervista narrativa. Ognuna delle interviste è stata sottoposta a trascrizione, previo processo di normalizzazione testuale. Il confronto tra vita narrata e vita vissuta che fa parte dell'analisi ermeneutica delle fonti orali è stato realizzato anche con il sostegno delle fonti bibliografiche, il cui impiego è stato da un lato illustrativo, vale a dire strumentalizzato a sostegno di una tesi, e dall'altro analitico, cioè volto a dedurre il senso generale di un tema a partire dal caso specifico considerato. Come già accennato, le fonti orali sono state incrociate a inedite fonti di archivio, incluse alcune registrazioni delle trasmissioni delle radio democratiche bergamasche.

Roberto Villa, Ci sembrava di essere liberi. Per una storia delle radio democratiche bergamasche, Roma. Ombrecorte, 2015

 

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