Sanità pubblica - Le conseguenze della crisi
Più il Servizio sanitario nazionale va male, più i cittadini devono provvedere alla propria salute pagando di tasca propria. E di questi tempi va davvero molto male: famiglie senza medico di medicina generale, interi territori senza continuità assistenziale (la guardia medica), liste d'attesa scoraggianti, lunghe file ai pronto soccorso ospedalieri, case di riposo senza infermieri e spesso senza medici, e la lista non finisce qui. Non meraviglia, dunque, che i cittadini debbano pagare di tasca propria i servizi; è quello che i tecnici chiamano "out of pocket" cioè tirar fuori i soldi dalla tasca.
La conferma l'abbiamo dalle nostre dichiarazioni dei redditi: su 58.907 dichiarazioni dei redditi presentate al Caaf della Cgil in provincia di Bergamo, il 75,6% (44.558) contengono richieste di detrazioni per spese sanitarie. In media 1.237 euro a testa. Ed è stato all'incirca così negli ultimi cinque anni, con una riduzione a 1.098 euro nel periodo Covid (dichiarazioni 2021), riduzione subito recuperata nel 2022.
La riduzione della spesa out of pocket nel periodo Covid è stata, secondo i dati Caaf Cgil Bergamo, dell'11%, ma è così in tutta Italia, anzi, in tutta Europa. Anche nella pur ricca Svizzera la riduzione della spesa privata per la salute è stata del -8,1%.
Sul perché di questa riduzione proprio in periodo in cui c'era più bisogno di cure e di assistenza (si pensi solo alle spese per i tamponi, le mascherine e gli altri dispositivi di protezione individuale) si è discusso molto e sono emerse diverse ipotesi interpretative: da un lato si registra come in quegli anni sia molto aumentata la spesa sanitaria pubblica, facendo così diminuire la necessità di una spesa privata; dall'altro si sostiene che proprio l'esigenza del distanziamento sociale abbia reso molto più difficile il ricorso a visite e prestazioni sanitarie; altri studiosi fanno notare come il trovarsi di fronte ai gravi rischi di morte dovuti al virus abbia fatto passare in secondo piano le altre malattie o disturbi sanitari, facendo venir meno visite e farmaci.
Quest'ultima osservazione merita di essere approfondita, sia perché di fronte alle malattie serie e gravi è proprio il Servizio sanitario nazionale che viene percepito come l'ancora di salvezza, mentre fondi sanitari integrativi e welfare aziendali sono scomparsi dalla scena. Proprio di "assordante silenzio della sanità integrativa" parlava il titolo di un articolo del Quotidiano sanità del 4 aprile 2020 ("Coronavirus. Il silenzio assordante della sanità integrativa" di Guido Citoni, professore di Economia sanitaria alla facoltà di Medicina dell'Università La Sapienza di Roma).
In modo ancora più severo si è espresso il noto farmacologo nostro conterraneo Silvio Garattini in un'intervista al quotidiano La Stampa dello scorso 26 giugno: "Abbiamo un mucchio di farmaci che sono completamente inutili (...) medicine che alimentano solo il mercato ma non portano niente di nuovo per i pazienti". Secondo Garattini, quindi, bisogna stare attenti a cosa davvero serve (come la prevenzione) e cosa no, come la corsa all'uso eccessivo di farmaci e prestazioni sanitarie inutili, quando non dannose. Su questi temi è nata anche un'associazione di medici: "Slow medicine", per una medicina sobria, rispettosa e giusta, che si riconosce nel motto "fare di più non vuol dire fare meglio".
Sembra quasi provocatorio che in un momento di grave difficoltà per i cittadini nell'accesso alle cure ci siano medici che si battono per un "rallentamento". In realtà sotto accusa sono tutti i soggetti che spingono per un'espansione quantitativa della spesa senza una verificata evidenza di utilità. Basta entrare nell'atrio di qualche ambulatorio o guardare qualche pubblicità televisiva per essere colpiti dal numero crescente di messaggi a favore dei fondi sanitari integrativi o delle assicurazioni. La loro colpa secondo, ad esempio, il sito web www.saluteinternazionale.it, è quella di "indurre prestazioni non necessarie, comunque fonte di ricavi/guadagni", come il business dell'offerta di "prevenzione medica" non validata (check-up, batterie di test...).
Tra le conseguenze di questa invasione commerciale nel campo sanitario c'è anche la sottrazione di energie (medici, infermieri, tecnici di laboratorio e di radiologia...) agli impegni più seri e motivati della cura dei malati veri e gravi, con la conseguenza dell'allungamento delle liste d'attesa.
Un caso diverso è quello dell'intramoenia, ovvero l'attività privata (a pagamento) esercitata all'interno degli ambulatori ospedalieri dagli stessi medici, al di fuori del loro orario di servizio come dipendenti. Si tratta di un'attività regolamentata, con tariffe stabilite e condivise con la Direzione ospedaliera. Dell'intramoenia, anche se meno distante da una logica di Servizio pubblico, Silvio Garattini nell'intervista citata chiede l'abolizione: "è una grande ingiustizia: chi ha i soldi ottiene una visita il giorno dopo e chi non li ha è costretto ad attendere mesi". Garattini tocca qui un tema importante e decisivo: quello dell'universalismo.
Il Servizio sanitario pubblico è stato istituito in Italia (legge 833 del 1978) per superare le mutue di settore, che davano servizi diversi a seconda del mestiere e del ruolo lavorativo. Proprio per questo principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla malattia e alla cura, il Servizio sanitario italiano è stato per anni ai primi posti nelle classifiche mondiali. C'è un episodio che può essere il simbolo di questa importante conquista: quando Gianni Agnelli, il presidente della Fiat, colpito da un'ischemia miocardica – come riferisce una cronaca dell'epoca - viene "prontamente ricoverato nel grande ospedale pubblico di Torino, le Molinette, in una stanza a due letti che divide con un operaio della Fiat. Ambedue godono di un'assistenza impeccabile...".
La crisi del Servizio sanitario nazionale, le politiche di privatizzazione, la rincorsa a prestazioni a pagamento, segnano un passo indietro della conquista di civiltà dello Stato sociale, una conquista che deve invece essere difesa migliorando, riformando, assicurando pari possibilità di cura a tutti. Questa crisi non è irreversibile e dal mondo della Sanità vengono molte voci in difesa di diritti universali conquistati dal movimento sindacale. La prima tappa deve essere ora la piena applicazione dei progetti di riforma concordati nel Pnrr: più sanità di territorio, più prevenzione, niente sprechi.
Orazio Amboni
Dal periodico "Spi-Insieme"
Bergamo, luglio-agosto 2023