Ospedali e Case della comunità - incognite e carenze in Lombardia
I motivi per cui la pandemia Covid-19 ha inciso così profondamente in Lombardia, più che in altre regioni, sono la debolezza della medicina di territorio (quella, cioè, extraospedaliera: i medici di base, gli ambulatori, l'assistenza domiciliare...) e il progressivo impoverimento del Dipartimento di prevenzione, cioè di quella struttura che si occupa di prevenzione e di contrasto alle malattie infettive.
Ora, grazie al decisivo contributo dell'Europa, il Governo italiano ha predisposto un Piano nazionale di ripresa e resilienza (il Pnrr) che prevede e finanzia interventi in tutti i campi, tra cui la sanità e i servizi sociali. Questo Piano si propone di rilanciare l'Italia superando le difficoltà rese evidenti dalla pandemia e di mettere il nostro Paese in grado di affrontare meglio il futuro, sia sul piano economico e sociale che su quello di altre strutture portanti come l'Istruzione, la rete dei Trasporti, la Giustizia. Ecco perché in questi giorni è in atto un frenetico lavoro parlamentare di approvazione di nuove leggi proprio per raggiungere questi obiettivi e non perdere i fondi europei.
Per quanto riguarda Sanità e Servizi sociali, le novità più attese riguardano la creazione di nuove strutture come le "Case della comunità" (già presenti in altre regioni come "Case della salute") e gli "Ospedali di comunità".
Questi ultimi, gli Ospedali di comunità, sono strutture sanitarie "di ricovero breve, che svolge una funzione intermedia tra il domicilio e il ricovero ospedaliero, con la finalità di evitare ricoveri ospedalieri impropri o di favorire dimissioni protette in luoghi più idonei al prevalere di fabbisogni socio-sanitari, di stabilizzazione clinica, recupero funzionale". Strutture, quindi, per quei pazienti "che necessitano di assistenza/sorveglianza sanitaria infermieristica continuativa, anche notturna, non erogabile al domicilio". In Lombardia questa esigenza è stata erogata in passato con varie tipologie di assistenza, come i "ricoveri sub-acuti" o "post-acuti", poi diventati "cure intermedie", oppure con l'istituzione dei Pot (Presidi ospedalieri territoriali), mai davvero decollati (in provincia di Bergamo ci sono solo alcuni posti letto nell'ex ospedale di Calcinate). Questa carenza è una delle cause di sovraffollamento degli ospedali, dove vengono trattati sia casi gravi e gravissimi con alte esigenze assistenziali, sia casi meno gravi che non necessitano di alta specializzazione.
Diverso è, invece, il ruolo delle Case della Comunità. Si tratta di strutture – anche queste diffuse sul territorio – dove il cittadino può trovare sia l'assistenza sanitaria (medico di medicina generale, pediatra, specialistica ambulatoriale, assistenza infermieristica, fisioterapia, logopedia...) che i servizi sociali. Per fare un esempio, un cittadino che viene dimesso dopo un ricovero per protesi d'anca o rottura del femore e ha bisogno di visite di controllo periodiche, di ausili (carrozzina), di assistenza fisioterapica e dietetica, di pratiche per la disabilità (contrassegno automobilistico, assegno di accompagnamento per i casi più gravi...), non avrà più bisogno di girare per sportelli e fare code prima qua e poi là..., ma potrà trovare tutto in un'unica sede dove i vari tipi di servizi devono imparare a collaborare e a facilitare l'accesso dei pazienti, anzi, dovranno attuare la cosiddetta "medicina d'iniziativa" invece della tradizionale "medicina d'attesa". Dovranno, ad esempio nel caso dei pazienti cronici, essere loro a contattare il paziente e i suoi familiari per dare informazioni e favorire l'adesione alle cure e ai comportamenti responsabili necessari per evitare aggravamenti.
È chiaro che queste due strutture, Ospedali di comunità e Case della comunità, hanno senso se sono molto distribuite nel territorio. Se ce n'è una ogni 30 chilometri, nulla cambia rispetto ad ora. Ed è un po' il rischio che si corre in Lombardia, dove gli standard da rispettare sono molto inferiori a quelli previsti nazionalmente. Ad oggi mancano ancora le regole sui soggetti titolati a gestire le Case della comunità: solo gli enti pubblici? Anche la sanità privata? E il no profit? È un nodo ancora da sciogliere.
Per noi deve essere chiaro, prima di tutto, che il "governo" deve essere in mano ai Comuni e alla sanità pubblica, e i vari servizi, anche privati e del no-profit, possono dare il loro apporto nel rispetto degli obiettivi e delle regole, così come già accade da tempo, per esempio, nel caso dei Piani di zona per le politiche sociali territoriali.
Forse la difficoltà più seria è la grave assenza di personale sia medico che infermieristico: carenza che già colpisce le Case di riposo e l'assistenza medica di base. A poco serve la discussione su dove mettere una Casa della comunità, se poi non c'è il personale che la faccia funzionare.
Orazio Amboni
Dal periodico "Spi-Insieme"
Bergamo, novembre-dicembre 2021