Lavoro privato di cura - Come cambia il mondo delle badanti
Senza scosse, ma con continuità, anche il mondo del lavoro privato di cura, quello delle badanti, sta cambiando e non sempre in meglio. Il primo cambiamento, forse il più rilevante, riguarda l'età: rispetto a vent'anni fa ora sono sempre di più, e in netta prevalenza, le badanti più anziane e con più anni di permanenza in Italia. Non è l'età in sé a costituire un fatto rilevante, ma piuttosto il tipo di rapporto e il modello di assistenza che ne conseguono.
Mentre le badanti più giovani prediligono un rapporto di lavoro part time, le più anziane un rapporto di co-abitazione a tempo pieno che, stando a una recente ricerca nazionale (Badanti dopo la pandemia, promossa dall'Associazione per la ricerca sociale in collaborazione con le Acli) sembra configurare "una simbiosi tra coppie di anziani (la persona assistita e la stessa badante) in cui si cristallizza una dipendenza reciproca che toglie spazio a progetti di autonomia".
A spingere in questa direzione è anche la provenienza delle badanti, sempre più dall'Est europeo e sempre meno dal Sud America; in maggioranza le badanti dell'Est sono più anziane e hanno famiglia nel loro paese di provenienza, quindi non interessate ad un'abitazione autonoma qui, mentre le badanti più giovani, provenienti da altri paesi, hanno familiari o conoscenti qui, disponibili a ospitarle in attesa di un'abitazione autonoma.
A favorire questa tendenza sono le politiche migratorie italiane, che da più di sei anni non vedono un "decreto flussi" che disciplini l'ingresso regolare in Italia, incentivando così forme irregolari di ingresso e permanenza.
I risultati del Rapporto sono confermati anche dai dati del Servizio badanti Caaf Cgil di Bergamo, che assiste per le pratiche fiscali e previdenziali centinaia di famiglie. Il Caaf conferma infatti che la stragrande maggioranza delle badanti è di origine ucraina, da anni presenti in Italia, di età mediamente avanzata e con rapporto di lavoro di co-abitazione a pieno tempo. A differenza di quanto affermato dal Rapporto, secondo cui oltre il 60% dei rapporti è in nero o con ampi tratti di irregolarità, le famiglie che si sono rivolte al Caaf Cgil hanno tutte optato per la piena regolarità del rapporto, anche prima di sapere che, in caso contrario, avrebbero dovuto rinunciare all'assistenza del Caaf.
I lunghi mesi della pandemia hanno avuto a Bergamo come prima triste conseguenza l'alta mortalità nelle Rsa, che a sua volta ha ridotto le liste d'attesa e consentito nuovi ingressi. Di conseguenza, per la prima volta, si sono avuti numerosi casi di disoccupazione per le badanti, che però hanno trovato rapidamente nuova occupazione visto l'alto numero di anziani non autosufficienti.
Ma forse, più che la pandemia, ha pesato la pessima gestione della "Sanatoria": a causa della carenza di personale, le Prefetture fanno fatica a evadere le domande di regolarizzazione, con la conseguenza che molte badanti si trovano adesso nell'impossibilità di aprire un nuovo rapporto di lavoro nel caso di decesso dell'assistito, o di poter avere codice fiscale e conto in banca. Il che significa per il datore di lavoro dover pagare in contanti e rinunciare alle detrazioni fiscali.
Che ci sia ancora molta strada fare è confermato dal bassissimo numero di iscrizioni al Registro territoriale delle badanti, condizione indispensabile affinché le famiglie possano accedere al bonus regionale che copre fino al 60% delle spese previdenziali sostenute.
La bassa disponibilità all'iscrizione al Registro si spiega col fatto, confermato dal Rapporto, che, per molte, la professione di badante è una scelta temporanea, non un progetto migratorio definitivo e sostenuto da adeguati e necessari percorsi formativi.
Orazio Amboni
Dal periodico "Spi-Insieme"
Bergamo, maggio-giugno 2021