L'emergenza Covid fa esplodere le liste d'attesa per altre patologie
La sanità ai tempi del Coronavirus
Si rischia di non garantire il diritto alla salute
Stanchi di sentirci dire che abbiamo una sanità d'eccellenza, che siamo fortunati ad avere un welfare che non fa pagare il ticket ai meno abbienti (tanti dei nostri pensionati lo sono), vorremmo gridare: non paghiamo il ticket ma se vogliamo curarci dobbiamo pagare la visita privata, il Servizio sanitario regionale a Bergamo è eccellente ma solo se si riesce a usufruirne prima che sia troppo tardi.
Purtroppo il Coronavirus nella tragedia che ha portato con sé non ha cancellato le altre malattie. Molte persone stanno rischiando la salute per le difficoltà a ricevere le prestazioni prenotate e cancellate a causa della pandemia.
Se poi si vuole un appuntamento per prime visite o esami si rasenta l'impossibile. Non stiamo esagerando. È stato detto da tanti che quella della pandemia è stata una guerra. Non condividiamo il paragone, ma in ogni caso è stata (ed è) una prova che ha evidenziato la necessità di una diversa organizzazione della sanità sul territorio. I cambiamenti organizzativi proposti nella Gazzetta ufficiale del 14 agosto sono già alla nascita non risolutivi e tutti coloro che si occupano di sanità lo sanno.
Stiamo facendo acqua da tutte le parti a danno della salute dei cittadini e la prevenzione è diventata un sogno.
Citiamo alcuni casi da noi riscontrati. Una visita che si è riusciti a prenotare a distanza di nove mesi dalla prescrizione viene cancellata per la pandemia, quindi la si deve riprenotare (con la trafila di rifare l'impegnativa) e serve un altro anno d'attesa per accedere alla visita. Cosa si previene? Per una visita cardiologica di controllo: tredici mesi di attesa. Per una visita oculistica la risposta è: "non abbiamo date a disposizione". Però se si chiede una visita privata nello stesso reparto in cui l'attesa è di diciotto mesi, nell'arco di dieci giorni (con cento euro) si risolve il problema. Una riflessione è d'obbligo. Certo, il medico di base può indicare l'urgenza, ma giustamente un medico serio non dichiara urgente ciò che non lo è; però non può neppure aspettare più di un anno per valutare la gravità della malattia.
Continuiamo a ricevere segnalazioni e lamentele spesso disarmanti, a cui non riusciamo più a dare risposte. Una domanda tra le tante: "ci curano solo quando stiamo morendo?" si scontra violentemente contro la nostra idea di sanità per tutti.
Quello delle liste d'attesa è un problema che ci trasciniamo da tempo, ma che è esploso in tutta la sua drammaticità nell'emergenza. Alle nostre sollecitazioni è seguita, tramite il quotidiano locale, una dichiarazione dei responsabili dell'Asst che parlava di un ampio recupero delle visite "saltate" durante il lockdown.
Tuttavia, i cittadini si sentono soli di fronte alla malattia. Per questo tendono a ignorare i segnali che indicano un malessere, rischiando di non avere più scelta: anche se le patologie non fossero gravi, aspettando potrebbero diventarlo. Si è tentati di "risolvere" il problema pagando, per ottenere in fretta visite private; ma a chi non può permetterselo, perché magari percepisce una pensione da 900 euro, resta solo la preghiera o qualche rito scaramantico.
Questo non è lo stato sociale di un paese civile: è ciò che contestiamo a chi, "competente", dovrebbe fare le scelte e organizzare le risposte ai bisogni dei cittadini e dei pazienti.
Augusta Passera, segretaria Spi Cgil Bergamo
Umberto Dolci, presidente Federconsumatori Bergamo
Dal periodico "Spi Insieme"
Bergamo, settembre-ottobre 2020