Dibattito sulla sanità, le riflessioni della Cgil e dello Spi di Bergamo
Anche la CGIL di Bergamo è interessata al dibattito in corso in questi giorni sulle pagine de L'Eco di Bergamo in merito alla sanità e ai suoi punti critici. Di seguito le considerazioni congiunte di Orazio Amboni del Dipartimento Sanità della CGIL provinciale, di Roberto Rossi, segretario generale della FP-CGIL di Bergamo, e di Carmen Carlessi della segreteria SPI-CGIL provinciale.
"Quando si parla di sistema sanitario bergamasco, così come di quello lombardo, non mancano di certo i problemi ma sarebbe a nostro avviso sbagliato parlare di malasanità. Cogliamo l'occasione offerta dal dibattito aperto per proporre qualche riflessione che vada oltre singoli casi di cronaca che, se pure indicatori della situazione, non possono rappresentare l'intero sistema sanitario regionale.
La recente riforma del servizio sanitario regionale, prevista dalla Legge Regionale 23 del 2015, stenta a produrre i frutti promessi. La nascita delle ASST, con il passaggio dei distretti dall'ex ASL alle aziende ospedaliere, aveva l'obiettivo di rafforzare l'asse ospedale–territorio per razionalizzare le risorse, evitare di ingolfare gli ospedali con casi gestibili in altre sedi e migliorare l'offerta sanitaria più prossima al cittadino. Stiamo, invece, assistendo all'effetto esattamente opposto: le ASST non hanno risorse da investire nell'organizzazione dei servizi da erogare sul territorio e, in alcuni casi, il territorio è sfruttato per compensare le carenze di personale che si creano nei presidi ospedalieri.
Ci sarebbe da considerare che la Regione continua a parlare di una presa in carico globale della persona che avrebbe dovuto essere parte della riforma proposta con i contributi dei gruppi di esperti e ripresa ad esempio dalle regole di sistema, eppure di questa presa in carico a 360° non c'è traccia. Nello sviluppo dei servizi, non ultimo del Punto di Accesso Territoriale, non vengono iniettate risorse né umane né economiche. Quindi il miglioramento è declinato solo come possibilità, tutto qui.
Nemmeno le diverse delibere regionali relative alla presa in carico dei pazienti cronici stanno producendo i frutti preannunciati: non sono cambiate in meglio le modalità di accesso alle cure, il modello organizzativo adottato è troppo complesso e ha creato innumerevoli difficoltà ad operatori e pazienti.
Riteniamo, invece, vadano rafforzate le strutture territoriali, tornando ad investire sui distretti e lavorando con i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta in modo da garantire una continuità assistenziale di qualità, sgravando gli ospedali e i loro Pronto Soccorso di quei casi che potrebbero essere gestiti altrove in modo più razionale e in particolare a vantaggio dei pazienti.
È stato più volte ricordato che il SSR, nella sua parte relativa all'erogazione è costituito da enti pubblici, le ASST, e da imprese private. Molto spesso assistiamo a scelte politiche che paiono avere come unico scopo quello di foraggiare il sistema sanitario privato, garantendone di fatto una più ampia marginalità economica. Alcune recenti dichiarazioni di imprenditori della sanità privata rispetto al rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro hanno nettamente dato l'impressione di scaricare il loro rischio di impresa sul sistema pubblico, suffragando quell'idea. Riteniamo invece che Regione Lombardia, tramite le ATS, debbano lavorare per organizzare al meglio l'offerta di servizi da erogare, intesa come mix tra quella pubblica e quella privata accreditata; troppo spesso assistiamo alla coesistenza di veri e propri doppioni che non paiono avere alcun sostegno logico rispetto al rapporto tra numero di prestazioni e popolazione del territorio.
Il nodo che riteniamo fondamentale superare, quale condicio sine qua non, è quello delle risorse umane. Se è vero che il contenimento del turn over in sanità non ha seguito le stesse regole degli enti locali e delle funzioni centrali, il problema della carenza di personale sta assumendo contorni preoccupanti. In particolare per la parte medica l'errata pianificazione delle risorse da formare da parte dell'università costringe oggi la politica a ripiegare su strumenti che hanno più il sapore della corsa ai ripari che non di una soluzione strutturale. Ci riferiamo alla possibilità di rimanere sul posto di lavoro fino ai 70 anni di età e l'impiego strutturato degli specializzandi. Per quanto riguarda il resto del comparto (infermieri, Oss, amministrativi, tecnici, assistenti sociali, fisioterapisti, educatori, etc...) la carenza di personale è dovuta sia al contenimento del turn over che a un'aumentata complessità assistenziale che ha reso antistorici i criteri di accreditamento dei diversi reparti e servizi. Occorre lavorare su un meccanismo che riconosca il reale fabbisogno di personale in sanità, sia pubblica che privata; questa operazione serve per garantire un carico di lavoro adeguato a chi lavora e un miglior servizio per i cittadini che ne fruiscono.
In tema di razionalizzazione della spesa vogliamo riservare un'ultima riflessione a quegli scandali che non hanno escluso la nostra Regione: fenomeni di corruzione e di malaffare che inevitabilmente pesano anche sulle risorse pubbliche, oltre che sulla qualità delle prestazioni erogate. Prima di pensare a comprimere diritti e tutele di chi lavora sarebbe più utile garantire una gestione trasparente e rispettosa delle norme".
Ufficio Comunicazione Cgil
Bergamo, 21 febbraio 2020