Focus dello Spi sulle case di riposo bergamasche
Un errore sottovalutare il ruolo delle Rsa
Sono passati ormai diversi mesi da quando nel nostro territorio s'è manifestato il virus Sars-Cov 2. Di fronte a questa pandemia ci siamo trovati impreparati, senza avere idee chiare su come affrontarla. Questo, data l'assoluta novità dell'infezione, credo sia abbastanza normale. Meno normale è invece ciò che è avvenuto nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa), letteralmente abbandonate a se stesse da parte della Regione che, anziché creare le condizioni per tutelare gli ospiti, ha dato disposizioni che hanno favorito la diffusione del virus. A queste strutture sono mancate le indicazioni fondamentali per affrontare e contenere il virus; non sono stati forniti dispositivi di protezione individuale, farmaci, tamponi; non sono state date istruzioni circa i trasferimenti negli ospedali delle persone ammalate di Covid-19 e su come isolarle, anzi la Regione ha deciso che non andavano affatto trasferite in nessun ospedale!
Questa tragedia ha richiamato l'attenzione dei mezzi di comunicazione, che hanno cominciato ad interessarsi di ciò che avveniva nelle Rsa e delle condizioni di vita degli anziani ricoverati presso queste strutture.
Noi, come Spi Cgil di Bergamo, da sempre abbiamo una particolare attenzione verso questo mondo (dimostrata da ricerche e convegni svolti anche lo scorso anno) e da sempre segnaliamo l'importanza che la Regione consideri le Rsa parte essenziale del sistema socio-assistenziale e sanitario e che, come tali, diventino parte integrante della filiera di servizi erogati per dare risposte globali ai bisogni delle persone fragili.
Anche per questo abbiamo accolto con interesse la proposta dello Spi regionale, dando la nostra disponibilità a partecipare all'indagine conoscitiva sulla residenzialità lombarda commissionata all'Istituto di ricerca Ires Morosini.
L'indagine, condotta da Francesco Montemurro, è finalizzata ad approfondire gli aspetti strutturali e le criticità emerse a seguito dell'emergenza Covid-19: ruolo del pubblico e del privato, costruzione di tariffe e rette, tipologia quantitativa e qualitativa dei servizi erogati, aspetti socializzanti e umanizzanti e possibili soluzioni alternative all'attuale modello della residenzialità.
La metodologia di ricerca utilizzata prevede anche la realizzazione di focus group con la partecipazione di professionisti che, per la loro funzione, sono attori protagonisti e testimoni privilegiati. Le persone che abbiamo individuato, che ci hanno dato la loro piena disponibilità e si sono collegate in videoconferenza sono: Claudio Cancelli (sindaco di Nembro), Antonio Costantini (responsabile Servizi alla persona Comune di Albino e responsabile Ufficio di piano Ambito Valle Seriana), Lorenzo Gaini (rappresentante utenti Rsa Fondazione Santa Maria Ausiliatrice di Bergamo), Raffaele Latella (medico geriatra Rsa), Giulia Madaschi (responsabile generale Rsa Martino Zanchi di Alzano); presente all'incontro anche Mario Belotti dello Spi Cgil Bergamo.
Le domande che hanno guidato il focus group miravano a indagare tre aspetti. Il primo tendeva a individuare le criticità e i fattori positivi delle Residenze sanitarie assistenziali prima e dopo la crisi determinata dalla pandemia. Il secondo tema era teso a conoscere il grado di programmazione e coordinamento delle Rsa anche alla luce dell'importante presenza di strutture private; a valutare l'eccessiva sanitarizzazione attivata senza un adeguato riconoscimento economico dell'attività svolta; a esprimere considerazioni circa la presenza di strutture con 200 o più posti letto che determinerebbero una disumanizzazione del servizio. La terza questione posta è, secondo me, il cuore del problema e cioè: quali scelte, quali azioni devono adottare i legislatori regionali e, per alcuni aspetti, nazionali per contrastare efficacemente la non autosufficienza.
In merito alla prima questione, gli interventi hanno evidenziato come le Rsa siano di norma lasciate sole e ancor più lo siano state nel corso di quest'emergenza. Da parte della Regione infatti non è stato predisposto alcun piano pandemico e nemmeno linee guida, protocolli o procedure per supportare le strutture. Del resto, l'assessore al Welfare Giulio Gallera ha dichiarato che le Rsa sono strutture private e, in quanto tali, non dipendono dalla Regione e quindi anche la redazione e gestione dei protocolli, il rispetto delle norme, l'adeguamento strutturale, l'effettuazione di tamponi, l'acquisizione dei dispositivi di protezione sono problemi solo delle Rsa. In realtà, queste Residenze sono un'articolazione del sistema pubblico con forte partecipazione dei Comuni e garantiscono una risposta anche sociale non solo agli ospiti ma a una grande fascia della popolazione di anziani, anche grazie all'avvenuta riorganizzazione e rimodulazione dei servizi che in esse vengono garantiti.
Se questo è vero, la Regione non può considerare le Rsa fuori dal sistema socio-sanitario. La realtà è che le Rsa sono soggetti forti del sistema, sia come luoghi che accolgono e rispondono ai bisogni del territorio, sia come strutture ben radicate nel contesto sociale; anche se, purtroppo, non equamente distribuite nel territorio stesso, tra loro isolate e con regole di gestione e di accesso per gli ospiti non condivise e non uniformi.
Un altro aspetto fortemente critico è la carenza di personale infermieristico. Bisogna trovare una modalità che favorisca, anche nelle Rsa, una sua crescita e la possibilità di sviluppo professionale, oltre che un adeguato riconoscimento economico; ma soprattutto va sottoscritto un contratto nazionale che ponga fine alle variegate modalità di assunzione e attivi le medesime condizioni per il personale, non permettendo (come avviene ora) che addetti con medesime professioni e uguali funzioni abbiano contratti e diritti diversi.
Rispondendo al secondo gruppo di domande, gli interlocutori hanno sottolineato che le Rsa private possono diventare una risorsa e non un problema purché, se operano per il pubblico, entrino in toto nel sistema con uguali diritti e doveri e si raccordino con gli altri operatori anche adeguando il valore delle tariffe/rette (per lo più al ribasso, allineandosi a quelle praticate dai gestori pubblici), ma soprattutto garantendo standard assistenziali di buon livello.
Per quanto riguarda invece l'eccessiva sanitarizzazione, tutti sono del parere che la legge di riforma del sistema socio-sanitario lombardo ponga grande attenzione ai problemi di natura sanitaria, ma molta meno agli aspetti sociali delle persone. Prova ne sia tra l'altro l'esclusione dei Comuni nei momenti in cui si effettuano e decidono strategie gestionali. Anche la dimensione delle strutture è ritenuta un falso problema: le Rsa, quando funzionano bene, lo fanno indipendentemente dal numero di posti letto. Certo la piccola realtà può essere più radicata sul territorio, ma questo non significa necessariamente che garantisca una migliore qualità del servizio.
Nell'individuare soluzioni alternative alla residenzialità per la non autosufficienza (oltre ai servizi domiciliari, semi-residenziali eccetera), non ci si deve dimenticare del lavoro svolto dalle assistenti familiari, le badanti, non solo per l'enorme servizio che svolgono, ma anche perché, approfondendo questo aspetto, avremmo informazioni circa la risposta data ai bisogni prima e durante la fase acuta del Covid. Come hanno fatto i familiari a gestire il problema, dato che molte badanti sono tornate nel proprio Paese e quindi gli anziani sono rimasti senza i loro caregiver? Tale analisi consentirebbe di capire, ad esempio, perché tante donne in questo periodo hanno abbandonato il lavoro. Favorirebbe inoltre l'evidenza che buona parte di questo lavoro è svolto "in nero", cosa che non si riesce a dimostrare, rendendo quindi impossibile attivare delle politiche integrate.
Il focus group si è concluso sottolineando che sono già state attivate esperienze positive di domiciliarità, come ad esempio il progetto avviato nella città di Bergamo che, su proposta sindacale e in accordo con gli amministratori del Comune, ha intrapreso percorsi di riorganizzazione del territorio e dei singoli alloggi, per consentire alle persone anziane di rimanere a vivere nelle proprie abitazioni il più a lungo possibile.
Carmen Carlessi
Dal periodico "Spi-Insieme"
Bergamo, novembre-dicembre 2020