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Le donne che votarono 70 anni fa a Bergamo per la prima volta ci ricordano un sindacalista dimenticato

Nell'articolo che Benedetta Ravizza dedica su "L'Eco di Bergamo" di oggi, 1 giugno, alle donne che votarono per la prima volta nel 1946, Giovanna Poletti, combattiva centenaria fieramente comunista, ricorda in quella occasione di aver fatto il giro delle cascine di Caravaggio: "Andavo a chiamare le mie compagne per dire che bisognava andare a votare. Ce l'aveva spiegato il Dante, sindacalista e socialista, e lui non parlava mai a vanvera". Viene in mente Montale, quando parlando della storia ricorda che "non è poi la devastante ruspa che si dice. Lascia sottopassaggi, cripte, buche e nascondigli. C'è chi sopravvive. E così, la memoria di questa donna ci riporta alla mente la figura di Dante Zucchelli, sindacalista della Cgil bergamasco, morto improvvisamente nel 1961 a soli 40 anni.
Dante Zucchelli, nato nel 1921, segretario del sindacato provinciale braccianti e poi nella Fiot (tessili) prima di diventare responsabile del centro zona dell'Inca nella bassa bergamasca, fu anche consigliere comunale a Caravaggio, sempre all'opposizione e addirittura fatto arrestare in aula dal sindaco democristiano Angelo Castelli[1]; un compagno socialista che, secondo Ferdinando Calzari[2], merita che gli si dedichi "la metà della storia del movimento sindacale bergamasco nell'immediato dopoguerra."
Visse in prima persona le durissime lotte con gli agrari, la cui spietatezza viene magistralmente descritta sia da Ermanno Olmi ne L'Albero degli Zoccoli che da Bernardo Bertolucci in Novecento; sempre Calzari ne ricorda il rigore e cita una frase in un suo intervento - dopo che era stato insultato e minacciato di morte proprio a Caravaggio - che gli rimase scolpita in mente, anche perché pronunciata "non con odio, ma con semplicità e con la sua onestà, ma ferma nella sua chiarezza: 'Ricordatevi, agrari, che la classe operaia – compresi i braccianti, che è classe operaia – perdona e sa perdonare, ha perdonato ma non dimentica il male che avete fatto e la vostra prepotenza durante il fascismo, anche se ormai è sepolta'. Cioè intendeva dire una frase che circolava sempre nelle fabbriche, in particolar modo i vecchi comunisti dicevano: 'La classe operaia perdona ma non dimentica'.[...] Ci fu commozione, ma anche orgoglio fra tutti i presenti.... Gli diceva: 'Io son figlio come voi di braccianti, mi hanno offeso oggi, ma perdoniamoli'. E tutti i braccianti si strinsero intorno a lui. Io invece con Gianni Ravasi, che era un funzionario della Camera del lavoro di Bergamo, dirigente socialista a Bergamo ma che viveva a Treviglio, e che era venuto a Caravaggio a vedere cosa era successo, rimanemmo tutta la sera insieme e parlammo tutta la sera di Zucchelli.
Una vita dura...di sofferenze, era diventato un dirigente capace, prestigioso, non solo tra i braccianti, ma anche per la popolazione. Era sempre sorridente, peccato che dopo alcuni anni morì, lasciando un grande vuoto nell'organizzazione sindacale e nel partito socialista". (ev)

[1] Riferimenti biografici in Vittorio Naldini, I rossi, i bianchi, i padroni. Lotte sindacali a Bergamo 1949-1965, Bergamo, 1989

[2] Intervista raccolta il 15 febbraio 1992 da Angelo Bendotti e Eugenia Valtulina

Nonantola. Un luogo a questa storia: appunti per un progetto a venire

Il saggio "Nonantola. Un luogo a questa storia: appunti per un progetto a venire", di Fausto Ciuffi e Guido Pisi, che affronta il tema della progettazione di un luogo per la memoria dei ragazzi ebrei di Villa Emma (che fa parte della raccolta di saggi "L’età del transito e del conflitto" in uscita per l’editrice il Mulino).
Il saggio è dedicato a Giuliana Bertacchi e lo trovate qui

http://www.davantiavillaemma.org/wp-content/uploads/2016/05/cap_21_Fausto-Ciuffi.pdf

Letti per noi: GIOVENTU’ SENZA SOLE MA IN PIEDI, L’AVVENTURA DI TERESA NOCE

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GIOVENTU’ SENZA SOLE MA IN PIEDI: L’AVVENTURA DI TERESA NOCE

 

Nei due storici volumi Gioventù senza sole e Vivere in piedi, il primo solo velatamente autobiografico, in cui l’autrice utilizza il nome di Maddalena, il secondo più scopertamente ispirato alla sua vita, Teresa Noce narra la sua esperienza e l’evoluzione della sua coscienza di donna e di operaia.

 Racconta la sua infanzia di bambina povera e umiliata, costretta a lasciare anzitempo una scuola non accogliente, dove la pietà delle compagne verso la sua misera condizione prende il posto dell’amicizia.
Racconta di sé che a otto anni svolge già mansioni di domestica per i ricchi del quartiere di San Salvario, la zona di Torino in cui abita, incoraggiata in ciò da suore che le hanno assegnato un ruolo preciso nella società, quello dei vinti.
Racconta del suo lavoro nei laboratori di stiratura o di sartoria, dove “il pane asciutto che si mangia in compagnia è più saporito” e dove le ragazze sognano il matrimonio come fuga da una massacrante condizione servile.
Il quadro che l’autrice delinea, soprattutto nei suoi ritratti di donne, sembra inizialmente sconfortante; sartine sfruttate che tentano improbabili fughe d’amore e che danno “l’anticipo” a uomini che, ottenuto ciò che vogliono, le lasceranno presto; donne umili fino a strisciare davanti a padroni avidi e padrone insensibili, donne che precipitano nella miseria più nera, arrivando a vendere il proprio corpo, unico loro bene.
Ciò che muta radicalmente il quadro è l’entrata in guerra dell’Italia il 24 maggio 1915: rimaste senza protezione maschile, le donne si sentono sole ma anche autonome, capaci finalmente di autodeterminazione.
Conoscono la realtà della fabbrica e rafforzano la propria coscienza di classe, capiscono che essere uniti rende più potenti, anche davanti al padrone.
Nel 1917, quando a Torino scoppia la rivolta del pane, sono le donne a guidarla, esponendosi a manganelli, pallottole e galera, perdendo talvolta la vita, da rivoltose o da semplici passanti: la mitragliatrice è cieca.
Il primo volume si chiude con la morte in guerra di Pietro, l’amato fratello maggiore, e la scelta della sorella sopravvissuta di diventare socialista.
Nel secondo volume, Vivere in piedi, Teresa riprende il suo nome e racconta la sua vita di giovane dirigente comunista, che come sempre è lavoratrice sfruttata ma usa la sua condizione per dare un senso alla lotta.
Conosce Luigi, studente e ufficiale durante la guerra appena finita: ne è attratta, ma sa che appartiene ad una classe sociale diversa, e che il loro sarà un amore difficile.
Per lungo tempo non possono sposarsi per l’opposizione dei genitori di lui: inoltre, ben presto, la situazione politica diventerà insostenibile per due giovani comunisti come loro.
Vivranno sotto falso nome, verranno arrestati, Teresa conoscerà il carcere in gravidanza. Nell’estrema solitudine della prigione scoprirà la solidarietà dei compagni e degli avversari, capirà che persino le suore possono essere amiche per una comunista, che le persone non vanno valutate per categorie.
Ci sono persino episodi buffi in questa storia così dura e spinosa, come quando Teresa e Luigi, rinchiusi in due prigioni diverse, usano avvocati e direttori come inconsapevoli postini di appassionate lettere d’amore, o quando l’ignaro medico fascista visita Teresa appena uscita dal carcere e le dice che i suoi disturbi sono dovuti ad una “vita stressante”.
I due sposi conosceranno poi altri dolori: una grave febbre puerperale di Teresa, la morte da neonato di uno dei loro figli.
Questi gravissimi problemi saranno profonde ferite al loro rapporto, che vivrà periodi di forte crisi, lunghi e pesanti silenzi.
Ma un’aggressione fascista a Luigi sarà l’attesa svolta: i due coniugi decideranno di accettare un incarico in Russia, dove saranno in salvo.
La parabola della sartina torinese è compiuta: il suo sogno si realizza, andrà nella mitica Russia dove “comandano gli operai e non ci sono più padroni”.
Ma per lei ci saranno altre svolte, lungo la strada, nuovi percorsi di cui, ora, nulla le è dato di conoscere.
L
a storia di Teresa Noce – che lei stessa racconta compiutamente infine in Rivoluzionaria professionale - è forse più comprensibile per i giovani di oggi che per quelli di altre generazioni: la precarietà e la paura sono il loro pane quotidiano, come un tempo lo furono per lei.

 

Ma l’avventura di Teresa può dare coraggio, e ricordare il valore del lavoro nella formazione dell’uomo.

 

 

Sara Valoti, aprile 2016

 

 

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