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RILETTI PER VOI: IL PANE, LE ROSE, LA GUERRA: LE DONNE DI MIRIAM MAFAI

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RILETTI PER NOI, di Sara Valoti

IL PANE, LE ROSE, LA GUERRA: LE DONNE DI MIRIAM MAFAI

L’8 settembre 1943 è una data controversa per la storia degli italiani: c’è chi lo definisce il giorno della “morte della Patria”, della vergognosa fuga del Re, dei soldati lasciati in balia degli eventi senza ordini né disciplina, e chi, invece, lo considera il giorno in cui una nuova Patria è germogliata dalle ceneri della precedente. Storicamente, si può affermare che il fenomeno comunemente noto come Resistenza nasca in quei giorni di settembre, dai soldati che rifiutano di obbedire all’ “Ordine Militare Ultimo” e si rifugiano sulle montagne, armandosi con lo scopo di cacciare definitivamente i nazifascisti.
Gli eroi riconosciuti della Resistenza sono loro; sono loro i liberatori della patria.
Come sempre avviene, eroe è una parola declinata al maschile.
Ma la guerra e la Resistenza l’hanno fatta anche le donne, che durante il conflitto hanno affrontato un lungo e doloroso processo di emancipazione, una sorta di “mutazione genetica”.
All’inizio, nel 1940, sono donne felici, che sventolano fazzoletti mentre guardano i loro uomini partire fieri per “la guerra del Duce”.
Subito dopo, le donne – come era già successo durante il primo conflitto mondiale - divengono lavoratrici, che vanno in fabbrica per sostituire i loro uomini al fronte, che guadagnano, e gestiscono il “loro” denaro, stretto fra le mani come una bandiera, ma che imparano anche che il loro lavoro e la loro dignità sono valutati la metà di quelli di un uomo.
Dopo l’8 settembre, ci sono donne che decidono di rischiare, e che portano nella borsa della spesa la propaganda antifascista che può farle finire in galera o nelle celle di tortura.
Donne umiliate e tradite.
Donne partigiane.
Mogli devote o donne condannate dalla guerra ad un nubilato già simile ad una vedovanza.
Madri sfiancate dalle troppe gravidanze e donne giovani che non avranno figli.
Sono queste le donne la cui vita è narrata da Miriam Mafai nel suo libro Pane nero, edito nel 1985 e poi nel 2008 da Ediesse [1] e recentemente ristampato in edizione scolastica.
Sono donne che, prima della guerra, aderiscono, con maggiore o minore entusiasmo, ai precetti fascisti che le obbligano ad essere “semplici, sobrie, affettuose, modeste.”
Il conflitto le spinge a combattere una loro guerra privata, a lottare per diritti di cui divengono improvvisamente coscienti e ad acquistare un’identità politica e sociale mal tollerata dai loro mariti o dalle donne delle generazioni precedenti.
Il rosso, il colore del sangue versato (anche) da loro, sarà lo stesso dei fazzoletti che orgogliose sventoleranno per le strade a guerra finita, per rivendicare un ruolo ben presto messo in discussione dagli uomini che tornano.
Le loro lotte nelle fabbriche militarizzate, nei campi di riso, nei lager tedeschi, infatti, verranno, al ritorno degli uomini, declassate a semplice “supporto logistico”, ad attività per loro stessa natura maschili.
E dovranno rimettersi al loro posto di custodi del focolare “fino alla prossima trasgressione”.
Queste donne vincono e perdono sul campo battaglie troppo spesso considerate “cosa del passato” dalle donne di oggi.

Le donne di Miriam Mafai, dunque, stanno lì a ricordarci cosa accade quando le bandiere di una lotta sanguinosa vengono ammainate per pigrizia, capriccio o sottomissione.
Ce lo ricordano, in questo nostro tempo di revisioni in cui sembra che “farsi mantenere” da un marito, o comunque da un uomo, torni ad essere, per molte donne, il più desiderabile degli stili di vita.
Queste donne – le nostre madri, le nostre nonne - ci invitano a combattere ogni giorno di nuovo la battaglia per le nostre convinzioni.
Per sempre resistenti.

SETTEMBRE 2015



[1] Il volume è disponibile al prestito in biblioteca

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