Le prime posizioni del governo delineano indirizzi preoccupanti
Abbiamo sostenuto da sempre che avremmo valutato le decisioni del nuovo governo sulla base delle nostre istanze e proposte elaborate unitariamente. Lo facciamo, soprattutto, in merito alle questioni economiche del lavoro e delle pensioni emerse dalla nota di accompagnamento della Finanziaria e (nel momento in cui scriviamo) affrontate direttamente nella Legge di bilancio. Sulla base di questa impostazione possiamo dire che, pur a pochissimo tempo dall'insediamento della compagine governativa al completo, sono state messe in campo alcune misure che non possono che essere contrastate e che danno il segno di dove si vuole andare a parare. Nelle pagine interne troverete una descrizione dettagliata dei contenuti sui quali abbiamo imbastito le solide motivazioni dello sciopero del 16 dicembre proclamato insieme alla Uil.
Ma mi preme richiamare anche altri indirizzi normativi assunti dal governo che devono preoccupare e non poco.
Il primo riguarda il tema degli assembramenti, il cosiddetto decreto anti rave, che, a giudizio degli stessi ministri che l'hanno promosso nel primo Consiglio, va ora rivisto. Le critiche di ordine sindacale e politico sono state suffragate da quelle di ordine giuridico-normativo, che ne hanno messo a nudo l'arbitrarietà nella fase interpretativa e i rischi di coercizione della libertà di protesta (civile e pacifica, naturalmente).
Il secondo è l'elevazione del tetto del contante fino a 5.000 euro e la non obbligatorietà di accettare carte di credito per spese inferiori a 60 euro (l'ottanta per cento delle transazioni dei consumi degli italiani). Sono misure che lanciano un messaggio esplicito ed ammiccante a chi utilizza il nero come elemento di regolazione dei rapporti commerciali. Il rischio di vedere utilizzato questo allentamento del tetto dei contanti per pagare lavoro in nero è conclamato e cozza con le rivendicazioni sindacali per un lavoro giusto e di qualità e, più in generale, con la lotta all'evasione fiscale. Tant'è che Corte dei conti e Bankitalia hanno sollevato immediatamente decise riserve.
Sorvolo sull'incremento della flat tax agli autonomi con redditi molto alti (tanto è evidente la discriminazione rispetto ai pensionati e ai lavoratori dipendenti), così come sulla vergognosa operazione di cassa sulle pensioni medie coperte interamente da contributi lavorativi. Il nuovo esecutivo non ha perso tempo nemmeno in tema di gestione dei flussi migratori, lasciando in mare per giornate intere tre navi di salvataggio con quasi mille persone in attesa di un porto di sbarco.
Ma quello che più infastidisce (è un eufemismo) degli indirizzi del governo è l'approccio alla campagna vaccinale e al contrasto alla crisi pandemica. Il messaggio dei condoni per chi aveva infranto le norme di sicurezza pubblica e il reintegro dei medici no vax è chiaro, così come è chiara la strumentalità delle dichiarazioni non veritiere di Meloni, secondo cui il nostro sarebbe stato il Paese con più morti e più restrizioni.
Innanzitutto l'Italia è stata il primo Paese occidentale ad essere colpito dalla furia del virus, quando non c'erano vaccini e non si sapeva cosa fare, e il suo efficace approccio – anche in termini di misure di contenimento – ha fatto da modello per molte altre nazioni, non solo europee. Inoltre, se leggiamo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità per i Paesi che hanno contato dai 3 milioni di contagi in su, (ufficialmente, 39 nazioni nel mondo), vediamo che l'Italia è all'8° posto in termini assoluti e al 12° in percentuale rispetto agli abitanti. Secondo lo stesso criterio, è all'8° posto per decessi in assoluto e al 9° in proporzione agli abitanti, mentre si colloca al 22° posto considerando i decessi in relazione ai contagi.
Tutto questo nonostante il fatto che larga parte del centrodestra, ma non solo, durante la gestione dell'emergenza pandemica abbia avversato metodicamente le politiche di restrizioni responsabili volte a garantire la salute della collettività, incoraggiando la "pancia" del mondo no vax e dei suoi satelliti per qualche consenso populista in più per sé.
Questo "indispone" soprattutto in una provincia che è stata il baricentro dell'esplosione della pandemia e che ha lasciato sul campo, nella prima parte dell'emergenza, una moltitudine di morti e grande dolore.
Ci siamo battuti, a Bergamo in modo particolare, in quei difficili frangenti a sostegno della sicurezza e delle misure di prevenzione, a sostegno della campagna di responsabilità e vaccinale, a sostegno della salute di tutti a partire dai più fragili; abbiamo contrastato gli attacchi violenti dei negazionisti alle nostre sedi. Ci siamo battuti per delle posizioni che hanno saputo contenere, fino ad oggi, la crisi sanitaria.
Lo abbiamo fatto allora, continueremo a farlo adesso.
Gianni Peracchi, segretario generale Camera del lavoro di Bergamo
Dal periodico "Spi-Insieme"
Bergamo, gennaio 2023